di Paolo Tomasin
Un nuovo virus si aggira per l’Italia e per il mondo intero: il virus della valutazione d’impatto sociale (VIS). Lentamente sta contagiando tutte le organizzazioni, dalle società benefit alle multinazionali tradizionali, dagli istituti bancari agli enti filantropici, dalle pubbliche amministrazioni agli Enti del Terzo Settore (ETS). La VIS si propaga secondo modalità diversificate: per ottemperare a normative, per imitazione, per libera e convinta volontà delle figure apicali delle organizzazioni. Quasi tutti i bandi di finanziamento, siano essi pubblici o privati, prevedono oggi una sezione dedicata alla VIS. Tra gli ETS la propagazione è sostenuta anche dalle “Linee guida per la realizzazione di sistemi di valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte dagli enti del Terzo settore” (Decreto 23 luglio 2019 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali).
Il dibattito tra gli esperti è serrato e crea schieramenti opposti: c’è chi lo considera un virus virtuoso, capace finalmente di misurare il cambiamento che le organizzazioni generano a favore delle comunità e dell’ambiente; c’è invece chi lo ritiene quantomeno inutile, se non dannoso, l’ennesimo strumento, dopo i bilanci sociali, i codici etici, la famigerata 231 (la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti), per comunicare una sostenibilità socioambientale che in realtà non viene praticata.
Intanto una schiera di consulenti è già scesa in campo per diffondere ulteriormente il virus della VIS. D’altro canto, un ampio ventaglio di metodologie e metriche era già disponibile: dalla teoria del cambiamento all’analisi controfattuale, dal social impact assessment allo SROI (social return on investments). La cassetta degli attrezzi si sta però ulteriormente articolando e spuntano sempre nuovi standard, specifiche certificazioni, sofisticati indici.
Le pratiche valutative sull’impatto si stanno quindi via via moltiplicando. Talune risultano ben realizzate, processi e prodotti si qualificano come una prassi di accountability ben riuscita, effettivamente riescono a descrivere come la realtà sociale e ambientale viene migliorata dall’azione delle organizzazioni (il virus ha fatto un buon servizio). Talaltre rimangono operazioni d’immagine, maquillage organizzativi, greenwashing anche ben confezionati (il virus ha fatto un cattivo servizio).
Fuor di metafora, si potrebbe dire che non dipende dal virus in sé, ma dalle modalità in cui ci si rapporta ad esso. Il Terzo settore, come del resto il settore for profit e la pubblica amministrazione, impattano inevitabilmente e profondamente sulla realtà sociale e ambientale in cui agiscono. Conoscere ed impiegare criticamente gli strumenti per valutare questo impatto diventa sempre più indispensabile non solo per acquisire risorse e/o una pubblica legittimazione, ma anche per apprendere a dar senso al proprio agire.
Il Master “Diritto e management del Terzo settore” affronterà il tema della VIS in quest’ottica fornendo elementi teorici, metodologici ed operativi.