Il Terzo settore è destinato ad avere un ruolo sempre più centrale nell’ambito socio-economico ma anche nello stesso tessuto produttivo, in un processo ancora in itinere, i cui contorni non sono peraltro sempre prevedibili. Lo Stato, da un lato, e il mercato, dall’altro, sono protagonisti necessari ma ormai non più sufficienti per affrontare le nuove sfide che i molteplici cambiamenti in atto pongono all’attenzione di chi ha responsabilità istituzionali.
Da alcuni anni si discute, tra gli studiosi, di “crisi dello Stato”. In estrema sintesi, lo Stato è troppo “piccolo” per affrontare le questioni di respiro internazionale o transnazionale (e dunque necessariamente lo stesso cede sovranità verso l’alto), dall’altro lato l’ambito statale è troppo “grande” per rispondere al meglio alle esigenze che il singolo territorio pone (e quindi, a livello costituzionale, lo Stato accetta la sussistenza di competenze esclusive o concorrenti da parte di enti territoriali, in Italia le Regioni e le Province autonome).
Anche il mondo del mercato e dell’impresa si trova in una fase di ripensamento; l’instabilità della dimensione imprenditoriale emerge per la sua naturale dipendenza dalle regole della domanda e dell’offerta e dai meccanismi propri della finanza internazionale. Nello stesso scopo di lucro, che di per sé è connaturato al mercato, non può inoltre ravvisarsi un elemento sempre allineato con l’esigenza di rispondere a bisogni variegati, bisogni che sfuggono molto spesso alla logica, in sé semplificatoria, del ritorno economico.
Ecco allora che il Terzo settore, per il suo essere scevro dalle viscosità che inevitabilmente possono rallentare l’operato della Pubblica amministrazione e per il suo operare in modo (prevalentemente) lontano dalle finalità lucrative proprie del mercato, può intervenire con maggiore efficacia nell’affrontare problemi nuovi. La complessità dei nuovi temi non riesce più ad essere colta tramite la semplice attivazione “tradizionale” dell’ente pubblico e/o del mercato. Si pensi, ad es., alla multiforme dimensione della fragilità (ben nota, peraltro, a chi si occupa di amministrazioni di sostegno), che abbraccia soggetti la cui situazione spesso non è connotata da anzianità, né da malattia né da bisogno economico (la solitudine, talora, è l’elemento caratterizzante di tali “zone grigie” ed esige risposte certe, solide, per evitare l’innescarsi di ulteriori problematiche). Altri esempi che esigono una sinergia sono quelli delle dipendenze (sostanze, gioco, ecc.), dei maltrattamenti e della manipolazione psicologica.
Per la sua duttilità e per le sue enormi potenzialità tutte da esplorare (si pensi agli strumenti della co-programmazione e della co-progettazione), il Terzo settore, declinato in tutte le sue forme, è destinato ad inserirsi in modo dirompente nella gestione delle risposte che nuove realtà richiedono, in ossequio al principio di sussidiarietà.
di Roberto Battaglia